Complesso inter-parrocchiale Sacro Cuore di Gesù di Reggio Emilia

Il progetto del complesso Interparrocchiale del Sacro Cuore di Reggio Emilia deriva dall’edizione 2006 dei concorsi indetti dalla Conferenza Episcopale Italiana dal 1994 denominati progetti-pilota.

Simbolico vs. Funzionale
Dalle machine à habiter in poi il procedere degli architetti di fronte ad un tema progettuale libero da vincoli o stimoli di natura contestuale, si fonda, almeno nella fase preliminare ideativa del processo progettuale, sullo stretto rapporto tra forma e funzione, intesi rispettivamente come effetto e causa, a tal punto da sostenere con convinzione l’equazione: inutile o non-funzionale = brutto.
Se tale principio etico-estetico è indubbiamente valido per la progettazione legata all’abitare dell’uomo come per case, uffici, scuole, parcheggi e anche le stesse opere parrocchiali, non lo è certamente per l’architettura dello spazio liturgico per la quale la componente meramente funzionale si trova in uno stato di equilibrio se non addirittura in subordine rispetto alla matrice simbolico-spaziale che è parte fondamentale dell’azione liturgica.
Tale dialettica tra spazio funzionale e spazio simbolico è evidente già nell’organizzazione planimetrica del complesso parrocchiale del Sacro Cuore che si configura come un esteso edificio a doppia altezza di tipologia conventuale con un grande chiostro al centro segnato da un percorso ciclo-pedonale di accesso, che divide il quadrilatero in due corpi a “c” contrapposti: uno piu’ “terreno” e funzionale, raggruppa i luoghi dell’abitare e dell’aggregazione sociale (salone, aule e canonica), l’altro, rappresentante dei luoghi sacri, contiene l’aula liturgica dal forte carattere simbolico, la cappella feriale e la sagrestia. Sopra le due figure contrapposte, una pensilina continua funge da trait d’union.

Alterità
L’architettura delle chiese nei secoli ha prodotto, in occidente, una innumerevole quantità di forme, senza mai eleggerne alcuna a forma ideale o canonica, perché la geometria dello spazio ecclesiale nella storia veniva accolta sempre nella misura in cui permetteva ad una celebrazione di esprimere più pienamente il suo dinamismo spontaneo. Nella progettazione del complesso del Sacro Cuore, è risultato necessario ricercare quei caratteri specifici, archetipici che contraddistinguono, quasi senza tempo, lo spazio dell’edificio-chiesa a prescindere dalla forma architettonica. Uno di questi è il rapporto di alterità all’interno dello spazio liturgico di due diverse dimensioni. Domus Dei e Domus ecclesiae , cielo e terra, materiale e spirituale, visibile e invisibile, presenza e assenza, suggeriscono uno spazio in divenire, non assoluto, non definitivo, ma di anticipazione e di passaggio. Questa frattura è sempre riconoscibile nello spazio liturgico, dalle chiese antiche (nella distinzione fra l’ordine inferiore percorribile e le aperture soprastanti) fino a Ronchamp e a Michelucci (nel distacco apparente tra basamento murario e vela di copertura).
Nel Sacro Cuore la contrapposizione dialettica di queste due diverse dimensioni, è leggibile sia in pianta che in alzato. Al di sopra dell’aula liturgica si eleva una grande “cupola” prismatica, sospesa rispetto al basamento, che traduce in termini spaziali contemporanei, la tensione escatologica del già e il non ancora, presentando l’ambiguità di uno spazio chiaramente sospeso, visibile ma irraggiungibile. Sia all’interno che all’esterno dell’aula liturgica, dove il solido basamento in pietra ed intonaco, con il suo carattere materico stereotomico, mostra di appartenere alla terra e al contrario la “leggera” scatola a telaio d’acciaio soprastante, dall’evidente carattere tettonico-tessile, si presenta come struttura diafana e smaterializzata da sottili intagli verticali, priva di appoggi evidenti e appare sospesa in cielo.

Il percorso
Si sa che sullo ziqqurat come anche sul tempio classico l’azione fondamentale era “salire”, al contrario nella chiesa l’uomo da sempre “entra”, e lo fa con convinzione. Emblematico di tale differenza è il modo in cui del tempio di Athena a Siracusa è stato trasformato in chiesa. L’entrare in chiesa è l’inizio di un percorso simbolico, iniziatico, che prosegue “in cammino” verso l’altare.
Così come molte chiese della nostra storia, l’accesso principale all’aula liturgica del Sacro Cuore non è immediato, ma avviene tramite un processo di attraversamento dello spazio, percorso continuamente mediato da cambi di direzione e pulsazioni spaziali, ostacoli visuali e materiali che rendono il fedele estraneo al mondo profano precedente e a quello sacro dello spazio liturgico in una sorta di Purgatorio. L’alta facciata della chiesa, come in molti esempi del passato, è un elemento indipendente dalla navata retrostante. Distaccata dal resto sia in pianta che in alzato, non è solo landmark urbano, segno riconoscibile da lontano, ma è soprattutto il primo elemento di separazione visiva tra spazio ordinario e sacro, barriera di origine apotropaica, poichè “…è necessario produrre una dialettica spaziale che attira perchè respinge…” (R.Tagliaferri, liturgista). Oltre alla soglia si accede nel buio e stretto ingresso in ferro nero, proseguendo a sinistra attraverso la chiara area battesimale. L’accogliente aula a tripla altezza è invece il luogo deputato alla riaggregazione che con il ritmo cadenzato dai tagli del volume sospeso, come le colonne di una navata, scandiscono il percorso iniziatico verso l’altare. Quest’ultimo è messo in risalto da una pioggia di luce proiettata dal lato orientale della “scatola” che si piega costituendo così il limite del santuario, segno della presenza.

L’impianto liturgico
La domanda della Diocesi nella prima fase progettuale, quella di concorso, di un impianto liturgico “bifocale” che derivasse dalle antiche chiese siriache di origine sinagogale con ambone (bèma) al centro dell’assemblea introduceva all’eterno dibattito ancora aperto: longitudinale vs. centrale, dimensioni espressive rispettivamente di una prospettiva iniziatica e di una polarità assembleare. In tal senso, questa tensione dialettica, non poteva essere vista come un ostacolo alla progettazione, ma come un punto di partenza, uno stimolo alla ricerca di un tipo liturgico-architettonico tale da rappresentare pienamente un esempio di quella auspicata “chiesa nuova” più volte citata nei documenti della Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla.
La soluzione architettonico-liturgica consisteva nella sintesi geometrica tra due tipi di spazio: quello detto Communio Raum che, nel nome della pari dignità della Liturgia della Parola ed Eucaristica, pone i due fuochi , altare ed ambone, alle due estremità dell’aula ( Redentore a Modena, S.Antonio a Stoccarda e Passau ) e quello basilicale direzionato del cammino , che si conclude ad est con l’abside, luogo della Liturgia Eucaristica, al cui centro si trova l’altare (“E prima di tutto l’edificio sia allungato, impostato verso oriente…, simile a una nave”(C.a.,II,57,2s)). Facendo riferimento al Vom Bau der Kirche di R.Schwarz, la suddetta sintesi riguardava il secondo tipo, dell’anello aperto con il quarto tipo ,quello del cammino.
Ne risultava un impianto piuttosto originale, bifocale ma direzionato.
Al centro del luogo della Liturgia Eucaristica, l’altare era leggermente rialzato, in modo che, “et omnium circum adstantium” tutti in piedi attorno all’altare, come recita l’edizione critica del Canone Romano, possano pregare, ma senza avvicinarsi troppo. Il disegno concentrico del pavimento in pietra suggeriva la direzione della preghiera. Al centro geometrico dell’assemblea vi era l’ambone , luogo della Parola.
Dal punto di vista spaziale, questa separazione dei due fuochi liturgici, consentiva di rafforzare la tensione tra assialità e polarità, che è caratteristica della chiesa nella storia.
L’impianto geometrico asimmetrico dello spazio, impostato su due diversi assi longitudinali di simmetria parziale, derivanti dalla separazione dei due fuochi, conferiva contemporaneamente all’aula liturgica dinamicità e ordine, come dinamico ma ordinato deve essere il rito liturgico. Questa dinamicità si riscontrava anche in facciata, dove il corpo metallico di ingresso, spostato rispetto al centro, viene bilanciato dal traliccio di sostegno delle campane.

E’ noto che il compito del progettista di una chiesa è duplice. Da un lato è necessario dare all’edificio-chiesa una forma assolutamente contemporanea, senza rinunciare a farne una viva espressione della grande tradizione della fede cristiana, anzi, con l’obiettivo di renderla riconoscibile e generare nei fedeli ( e non ) il sentimento della presenza. Dall’altro è chiaro che lo spazio è destinato ad una precisa comunità parrocchiale ,pertanto forma e dimensione corrisponderanno alla forma ecclesiae ,cioè alla comunità stessa. Per questo motivo l’impianto liturgico del Sacro Cuore ha subìto alcune modificazioni negli anni della sua costruzione ( e ancora oggi nella disposizione degli arredi mobili ) in ordine ad una sperimentazione liturgica di una Chiesa pellegrina in questo mondo.

  • Progetto

    Davide Raffin con Roberto Tagliaferri, Massimo Poldelmengo, Giulia Iseppi Perosa, Andrea Malacchini, Giovanni La Porta, Andrea Trame, Giacomo Cadelli

  • Località

    Reggio Emilia

  • Anno

    2010 / 2013